GHOST IN THE SHELL – Recensione

DA ANIME AL GRANDE SCHERMO

1 Apr 2017

Mettersi a giocare con certi mostri sacri non è mai facile. Quando nel 1995 uscì Ghost in the Shell eravamo in un periodo in cui il Cyberpunk era un genere di sci-fi in pieno boom, le opere di William Gybson era come dei mantra e nello stesso anno dell’anime ispirato al manga di Shirow esce un altro punto di riferimento del genere, Johnny Mnemonic. Per anni Ghost in the Shell è stato (e per me, è ancora oggi) uno dei massimi punti del cyberpunk ( è rinomatamente una delle fonti di ispirazione di Matrix, tanto per dire), non solo per l’aderenza ai canoni del genere ma per come li stessi sono stati sviluppati ed evoluti.

Pensare che fosse anche solo possibile ripetere questo exploit è impensabile, non per colpa della storia ma di come la stessa può essere recepita oggi, con vent’anni di evoluzione digitale che hanno radicalmente mutato la nostra percezione della fantascienza in generale. Eppure, il film di Rupert Sanders riesce a ricostruire lo spirito dell’anime (non avendo letto il manga, non mi posso esprimere su quello), conscio di come certe vette narrative non si possano eguagliare, evitando di forzare la mano e rischiare di creare una caricatura.


RICREARE IL FASCINO DELL’ANIME DI GHOST IN THE SHELL ERA UNA SFIDA PERICOLOSA, MA LA PELLICOLA DI SANDERS RIESCE A CONVINCERE


La storia alla base di Ghost in the Shell viene riproposta in modo abbastanza fedele, con delle variazioni che si adattano al grande schermo, in modo da coinvolgere non solo i vecchi affezionati ma anche coloro che si avvicinano per la prima volta al Maggiore.

ghost in the shell film

Nella Hong Kong futura il Maggiore Mira Killian è membro di un gruppo speciale, la Sezione 9, che si occupa di gestire minacce terroristiche; Mira (Scarlett Johanson) è un cyborg, un nuovo modello della Hanka Robotics, frutto della prima fusione riuscita tra un cervello umano e un corpo interamente robotico. Nel corso di un’indagine, Mira e la sua squadra come un misterioso cyber-terrorista, Kuze, stia attaccando la Hanka, in quella che sembra essere una guerra personale; in questo scontro, la Sezione 9 viene coinvolta direttamente, dovendo chinare la testa di fronte ai forti agganci politici che la Hanka vanta con il governo.

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Fedele alla concezione dell’ambientazione cyberpunk, anche Ghost in the Shell crea una società in cui potenziamenti cibernetici, una rete globale e uno strapotere di colossi industriali siano la base di tutto; nell’anime del 1995 questa caratterizzazione veniva arricchita da una parte filosofica, rappresentata dal Ghost del titolo, ovvero lo spirito, l’anima. In una società in cui i corpi sono dei gusci (shell) che possiamo modificare e scartare a piacere, l’essenza della nostra personalità diventa la peculiarità che ci distingue dalla massa..

Al centro della pellicola c’è esattamente questo, la ricerca del proprio spirito, la difesa dell’anima dell’individuo; Mira per gran parte del film cerca di comprendere chi sia realmente, rivuole il suo ghost. Questa ricerca del sé viene ricreata nell’apparente mancanza di espressione di Mira, come a marcare la scarsa consapevolezza della propria anima; per una volta il viso raramente espressivo dell Johansson torna utile, visto che la sua limitata gamma di espressione contribuisce alla caratterizzazione di Mira, mentre la voce (doppiata dalla solitamente bravissima Domitilla d’Amico) in alcune scene sembra quasi messa lì alla bene e meglio Nell’anime questa componente era molto più curata, approfondita, mentre la versione cinematografica, nonostante abbia un ritmo non forsennato, preme più sullo stupore visivo che non sulla struttura narrativa.

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Perchè Ghost in the Shell visivamente è un bello spettacolo. Hong Kong è resa in modo incredibile, il degrado e la massiccia presenza di tecnologia si fondono in mondo oppressivo, con un contrasto cromatico che viene acuito nelle scene in notturna, che rappresentano la quasi totalità del film; la costruzione delle scene, specie quelle action, sono ben strutturate, anche se in alcuni frangenti ci sono degli abusi di slow motion. Ma quello che più colpisce sono le citazioni all’anime, scene che sono diventate dei punti fermi del genere che vengono fedelmente riprodotte, nei minimi dettagli e con un rispetto adeguato (esclusa la celebre scena dell’aereo sulla città).

Poco convincente la colonna sonora, se rapportata all’anime. All’inizio della pellicola ho come avuto la sensazione di trovarmi davanti a Deus Ex, ma era inevitabile visto che la soundtrack di Ghost in the Shell è opera di Clint Mansell, autore anche di quella del titolo di Square Enix; sarebbe stato preferibile un maggior tono orientale all’interno delle musiche, anche per aumentare il senso di appartenenza all’ambientazione. Ma quando sui titoli di coda parte la musica originale dell’anime, tutto viene perdonato, complice il maledetto effetto nostalgia!

Ghost in the Shell è un buon film di fantascienza, che pur portando un nome scomodo per via delle aspettative che genera, riesce a offrire un intrattenimento di livello, a patto che si riesca a concepire che la storia vada rapportato alla pellicola, senza avventurarsi in ingiusti paragoni. La parte vincente di questo film non risiede nel nome, ma nel ritmo della narrazione, nella costruzione degli ambienti e negli effetti speciali, che giovano non poco del 3d. La visione di Ghost in the Shell è raccomandata non solo ai fan intransigenti dell’opera (che ben sanno come ad ogni versione di Ghost in the Shell ci siano delle sostanziali variazioni), ma a tutti coloro che cercano una bella storia cyberpunk .

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CONCLUSIONI: Ghost in the Shell porta al cinema la storia cyberpunk per eccellenza, nata da un anime e divenuta una della massime vette del genere. Nonostante una colonna sonora non proprio in linea con l'ambientazione e un eccessivo uso dello slow motion, Ghost in the Shell rappresenta un buon film di sci-fi, con un cast onesto e degli effetti speciali all'altezza! NOSTALGICO"

VOTO FINALE: 6.5

SCHEDA FILM

  • USCITA: 2017
  • GENERE: azione
  • REGIA: Rupert Sanders
  • DURATA: 120 minuti
  • SCENEGGIATURA: Jamie Moss
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