TRANSUMANESIMO: L’UMANITÀ FUTURA

6 Set 2016

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TRANSUMANESIMO: EVOLUZIONE O SCONFITTA DELL’UMANITÀ?

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Da pochi giorni è uscito il nuovo capitolo di Deus Ex, Mankind Divided, gioco che ha dalla sua una trama appassionante, nata da un tema estremamente interessante e che rappresenta l’anima della saga creata nel 2000 da Warren Spector: il transumanesimo.

Chi sta giocando il titolo sente spesso questa parola, ci convive e ha iniziato a giostrarsi coi dilemmi morali che questa filosofia impone nelle scelte di Adam Jensen e del mondo in cui vive. Forse potrebbe sorprendere sapere che il transumanesimo non è un’invenzione di Eidos e Square Enix, ma si tratta di una vera e propria scuola di pensiero che guarda al futuro dell’umanità. Questo movimento culturale ha come ultimo fine il portare l’essere umano oltre la sua attuale condizione, sfruttando i progressi scientifici per aumentare le capacità del corpo e prolungare la durata della vita.

Ci sono due definzioni che vengono spesso usate per identificare il transumanesimo.

La prima risale al 1957 ed è attribuita a Julian Huxley, il quale sostiene che il fine ultimo del movimento è “l’uomo che rimane umano, ma che trascende se stesso, realizzando le nuove potenzialità della sua natura umana, per la sua natura umana“. Tale definizione è stata assiomatica fino agli anni’80, quando Max More sostenne che “Il Transumanesimo condivide molti elementi con l’umanesimo, inclusi il rispetto per la ragione e le scienze, l’impegno per il progresso ed il dare valore all’esistenza umana (o transumana) in questa vita. Il Transumanesimo differisce dall’umanesimo nel riconoscere ed anticipare i radicali cambiamenti e alterazioni sia nella natura che nelle possibilità delle nostre vite, che saranno il risultato del progresso nelle varie scienze e tecnologie“.

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La vera mira del Transumanesimo è quindi quella di far progredire l’umanità attraverso l’implementazione di innovazioni scientifiche, senza porsi limiti. Quasi ogni tecnologia recente che possa avere una propria forma di utilizzo in questo senso diventa subito un motivo di interesse per il transumanesimo; la manipolazione genetica, l’informatica o anche la ricerca medica in merito a protesi diventano manifestazioni del credo transumano. La principale manifestazione del transumanesimo rimane legata al rapporto con l’informatica, in particolare con le intelligenze artificiali; per i transumanisti il rapporto uomo-macchina è alla base del miglioramento della condizione umana, e non pochi sostengono che in poco tempo saranno prodotte intelligenze artificiali superiori alla nostra. Spiccatamente laico (anche se alcuni aderenti mantengono un legame con fedi varie), i transumanisti non credono nell’anima individuale, ma sono convinti che la mente umana potrà, un giorno, essere digitalizzata ed emulata in digitale, o anche riversata in altri corpi, come dei cloni, in quello che definiscono mind uploading.

Questo sentimento di progresso, di miglioria non si applica al corpo umano, ma anche al suo contesto sociale; non siamo di fronte ad un pensiero elitario, ma ad una visione pan-umana, i cui benefici andrebbero condivisi fra tutti gli uomini, riuscendo anche a dare un nuovo assetto socio-economico alla nostra civiltà. Secondo i transumanisti, i progressi scientifici e le possibilità che offriranno dovranno essere appannaggio di tutti, senza esclusioni; eppure ad oggi siamo ancora parte di una società estremamente frammentata, in cui le divisioni sociali sono ancora forti e ben radicate. Prima di poter garantire una così ampia offerta di mutuo soccorso, un’ottica che spesso viene associata dai detrattori del movimento transumanista ad alcune ideologie religiose o di stampo marxiste, sarebbe da lavorare forse sull’aspetto etico del progresso umano.

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Leggendo quanto detto è scontato fare un parallelo con il mondo della fantascienza, che in questi anni ha mostrato una certa affinità con la filosofia transumana.

La concezione del miglioramento del corpo, l’utilizzo di protesi e l’interconnessione fra intelligenza umana e virtuale sono elementi tipici del cyberpunk, di cui William Gibson è uno dei massimi esponenti (basta pensare a Neuromante). Quello che spesso traspare dalle opere cyberpunk è un mondo piuttosto cupo, lontano dalla visione egualitaria prevista dai transumanisti, spesso accompagnata da una progressiva perdita di umanità da parte di chi vive in quelle società; eppure ci sono tutte le tematiche tipiche del Transumanesimo, dalle IA ai potenziamenti fisici.

Forse era uno dei riferimenti alle critiche che da molte parti arrivano alla teoria transumana, ovvero su come la ricerca di una migliore umanità tramite una eccessiva corsa tecnologica possa allontanare la razza dalla sua stessa umanità.

Giusto prima parlavamo di Deus Ex. In Mankind Divided il fulcro della vicenda è come il movimento transumano possa creare un apartheid tra umani “puri” e potenziati; stessa tematica che possiamo trovare in Bay City di Richard Morgan, dove il mind uploading è ormai una consuetudine che consente di ingannare la morte, potendo scaricare la propria mente in altri corpi, anche su altri pianeti. Ovviamente, pratica che richiede un pagamento possibile ai pochi, mentre gli altri vivono in corpi clonati scadenti, e sono quasi dei pariah rispetto all’elite; stessa cosa per i potenziati di Deus EX, o per i cyber cowboy del cyberpunk. È la rappresentazione in versione sci-fi delle critiche mosse al movimento transumanista da economisti (uno su tutti Francis Fukuyama) e pensatori definiti “bioconservatori”, come McKibben, che sostengono che questo eccessivo permissivismo tecnologico possa solo condurre ad una progressivo divario sociale tra chi può sostenere i costi, alterando in modo pericoloso gli equilibri paritari delle diverse fasce sociali.

Non è solo la perdita di umanità che spesso viene mossa come accusa all’idee transumaniste, ma anche la complessa convivenza con l’aspetto religioso della vita stessa. Prendete l’idea di anima immortale, comune a molte religioni, specialmente in quelle fedi che predicano la reincarnazione; in un mondo come quello pensato da Morgan, in un futuro dove la nostra mente, il nostro IO, può digitalizzato e trasmesso all’infinito, possiamo dire di avere raggiunto l’immortalità? Eppure uno dei tratti tipici dell’umanità è la durata della vita, lunga e si spera prospera, ma comunque con la sua bella data di scadenza.

Alcuni pensatori moderni appoggiano una certa parte del pensiero transumano, quello mirato alla maturità etica e morale dell’umanità, una sorta di crescita collettiva che possa rendere migliore la convivenza delle diverse etnie; il vero scoglio nell’affrontare il discorso transumanista risiede nel difficile rapporto tra uomo e macchina che viene spesso presentato come uno dei punti cardine del movimento. Pensate, già ora esistono protesi per chi ha perso arti in incidenti, cuori artificiali e la ricerca medica in quel campo è sempre più lanciata; quindi, il transumanesimo è così lontano, così sbagliato? In realtà, un conto è usare una protesi in seguito ad un infortunio, o per correggere un problema congenito grave, ma sostituire una gamba sana con un artificialmente migliore solo per essere più “forte”, potrebbe essere visto come una perdita di umanità?

Quando si parla di transumanesimo, di questa pericolosa perdita di umanità, mi viene sempre in mente Andy, il robot protagonista de L’uomo bicentenario di Asimov, un indistruttibile robot che vuole diventare sempre più umano, al punto da cercare l’essenza stessa dell’umanità, ovvero il termine della propria esistenza. L’interrogativo che anche la sci-fi sembra porsi è capire quanto lo sviluppo dell’umanità, quale sia la giusta strada per essere transumani, per andare oltre l’attuale stato evolutivo: puntare ad un’etica superiore, o preferire un approccio più fisico? Lavoriamo sul software o sull’hardware?

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È innegabile il fascino che esercita questo movimento, l’idea del miglioramento costante, il continuo upgrade dell’umanità verso una forma più performante, sia come fisico che etica, è davvero stimolante. Ma è un discorso che, anche in futuro, sarà traducibile in realtà? Alcuni studiosi, come il genetista Steve Jones o il sociologo Max Dublin constatano che molte delle invenzioni attese dai transumanisti e svariate loro previsioni di balzi tecnologici utili alla causa si siano rivelate errate, e avanzano riserve anche sulle promesse degli attuali futurologi.

Personalmente non posso negare che, da buon appassionato di sci-fi, le idee transumaniste abbiano la loro attrattiva, ma se estrapolate da un contesto di narrativa fantascientifica sono vittime di un processo etico che ne rende se non pericolosa quantomeno controversa l’attuazione. Al momento, preferisco fingermi un transumano nei panni di Adam Jensen, e tenermi ben strette la mia difettosa ma tanto umana miopia!

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