CARRIE FISHER, OLTRE LEIA – N-Files

Manuel Enrico 28 Dic 2016

Il 2016 si avvicina alla sua fine, portandosi via anche Carrie Fisher, attrice consacrata all’olimpo del cinema per il suo ruolo in Star Wars, la principessa Leia Organa. In queste ore sui social i fan della saga di George Lucas condividono ricordi, aneddoti e pensieri per la loro eroina, una principessa che ha ben poco della classica figura della donzella in pericolo delle fiabe. Leia Organa ha infranto l’archetipo della principessa in pericolo, da salvare, mostrando un nuovo ideale di donna, combattiva e in grado di tenere testa agli uomini, senza però perdere la propria femminilità; se l’idea si deve a George Lucas, il merito di questo successo è però della Fisher, che è riuscita a trasmettere con la propria bravura e il proprio fascino tutta la potenza di questo personaggio. E purtroppo nell’immaginario collettivo il suo ruolo in Star Wars viene spesso legato alla sua prigionia di Jabba, con quel bikini che la rese Slave Leia, uno dei costumi cosplay più sfruttati da ragazze e donne che forse dovrebbero rispettare maggiormente un personaggio che ha voluto lanciare un messaggio più forte, senza limitarsi a vestire un costume per un po’ di visibilità.

Sarebbe però riduttivo rilegare Carrie Fisher al solo ruolo di Leia Organa; sembra la maledizione che colpisce alcuni attori, rimanere legati ad un ruolo solo per il successo avuto dal personaggio (come accade al suo collega Harrison Ford, rimasto per molti Indiana Jones, Han Solo e Rick Deckard nonostante una lunga carriera). La Fisher ha respirato il mondo del cinema fin dalla sua nascita, figlia di due attori Debbie Reynolds e Eddie Fisher, ha affrontato fin da piccola lo scalpore della vita di Hollywood (nel 1958 la sua famiglia fu coinvolta dallo scandalo della separazione dei genitori causata da una relazione tra il padre ed Elizabeth Taylor, conclusasi con un matrimonio); nonostante una prima porta in faccia in Inghilterra che le precluse l’ammissione alla Royal Academy of Dramatic Art (1974), Carrie nello stesso anno arriva al cinema con Shampoo di Warren Beatty. E tutti la notano, la ammirano, qualcuno vede già il potenziale! Lei torna in Inghilterra per tentare nuovamente di studiare recitazione, e si iscrive alla Central School of Speach and Drama di Londra, e dopo un anno torna negli States ed entra nel cast di uno dei programmi cult della sua generazione: il Saturday Night Live, dove stanno comparendo figure come Dan Aykroyd, John Belushi e Bill Murray.

Mentre è nel cast del Saturday Night Live, nel 1976 a febbraio viene confermato che avrà un ruolo nel nuovo film di George Lucas, Star Wars. Per la Fisher è il salto, il primo vero ruolo di richiamo, ma questo non ha cambiato il suo carattere ironico, tanto che sceglie di rimanere nel cast del Saturday Night per tutto il 1978; scelta che la porta a legarsi a Dan Aykroyd, che la consiglierà a John Landis per la parte della fidanzata abbandonata da Jake Blues (John Belushi) in The Blues Brothers, ruolo che ci ha regalata quella stupenda scena del tunnel con la battuta sulle cavallette.

Sul finire degli anni ’70, quando la sua carriera sembra inarrestabile, Carrie entra nel periodo più duro della sua vita: la dipendenza dalle droghe. Durante le riprese del film per il circuito televisivo The Star Wars Holiday Special, la sua principessa Leia era irriconoscibile a causa della sua interpretazione rovinata dalla dipendenza. Stesso problema che mostrò durante le riprese di The Blues Brothers (1980), al punto che solo la minaccia di licenziamento le fece prendere coscienza del proprio stato, decidendo di tentare un percorso di riabilitazione. Sembra incredibile, ma la stessa Fisher raccontò che a starle accanto in quei momenti durissimi fu John Belushi, un altro immenso talento ucciso troppo presto dal suo amore per le sostanza stupefacenti nel 1982.

Alla base di questa sua dipendenza probabilmente il difficile rapporto con il padre, che abbandonò lei e la madre per la Taylor, o la difficoltà nel trovare ruoli che non fossero solo di secondo piano; a 24 anni le venne anche diagnosticato un disturbo bipolare, che lei non accettò fino a quando nel 1984 non finì in overdose, anche se la completa accettazione della sua condizione avvenne solo nel 1988 dopo un forte esaurimento nervoso. Sarebbe facile accusarla di esser finita nel giro delle droghe come molte star di Hollywood, ma lei stessa spiegò in un’intervista le ragioni:

Abbiamo tirato di coca sul set di ‘Empire strikes back’ (L’impero colpisce ancora, il secondo episodio della Trilogia Classica di Star Wars),ma la droga non mi piaceva nemmeno tanto: era solo un modo per prendere qualunque cosa mi servisse per tirarmi un po’ su. Cominciai a rendermi lentamente conto di quanto pericolose fossero le mie abitudini  e che stavo prendendo più droga degli altri, perdendo così la mia capacità di scelta. Di certo, se fossi stata un alcolizzata, a quest’ora sarei morta perché l’alcool basta uscire di casa a comprarlo

Carrie rimase dipendente dalle droghe per quasi trent’anni. La sua vita difficile e le sue traversie vennero raccontate in un libro auto-biografico, Cartoline dall’inferno, da cui fu tratto anche un film con Meryl Streep; la Fisher era una scrittrice di talento, pochi sanno che lavorò per anni come script doctor a grandi produzione hollywoodiane (come Hook- Capitano Uncino), un lavoro simile a quello di un ghost writer, visto che per la Writers Guild of America si può accreditare come autore solo chi ha lavorato ad almeno il 50% della sceneggiatura, mentre uno script doctor interviene a rifinire il lavoro dopo che il film è già entrato in produzione.

Nel frattempo, Carrie continua a fare della apparizioni in alcune pellicole (fu molto apprezzata nel ruolo di Marie in Harry ti presento Sally), ma dopo Cartoline dell’inferno si dedica ad un secondo lavoro che sembra uno step in un percorso personale di accettazione: Whishful Drinking. Libro e spettacolo teatrale (2009) è un momento che tra risate e riflessioni aiuta a comprendere la sua vita, dalle traversie famigliari, alla difficile accettazione del proprio bipolarismo, fino alla dura convivenza con l’ingombrante figura di Leia Organa.

Parlare di Carrie Fisher per un appassionato di Star Wars come me senza legarla indissolubilmente al ruolo di Leia è dura. Ricordo ancora come agli albori dell’adolescenza Leia fosse quel primo amore impossibile, quel fascino nato da un perfetto equilibrio di forza e debolezza, tenerezza e ironia, ma soprattutto da quel sorriso furbetto e lo sguardo sempre vivo, vitale di Carrie. Certe cose impari a conoscerle solo con l’età, quando vedi che dietro la magia del cinema si nasconde una persona vera, che ha una vita, a volte anche dura, e che nel suo personaggio cerca magari un attimo di respiro. A pensarci ora, mentre noi abbiamo amato Leia forse Carrie la vedeva come un macigno, un ostacolo che la ha resa un’icona ma ne ha soffocato la carriera (ricorda il difficile rapporto tra Nimoy e il suo Spock); oggi potremmo dire che è morta Leia Organa, ma per una volta vorrei associare quel viso pulito, quel sorriso sbarazzino a Carrie Fisher, attrice, donna su cui la vita si è accanita ma che ha avuto la forza di lottare, di rialzarsi e con un’ironia e una tempra invidiabile di affrontare e vincere i propri demoni.

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